Quando l’arte si fa stranezza

DiMassimo Rossani

Ott 19, 2012

Per istinto, o più verosimilmente per formazione culturale, sono pochi fra noi quelli che non riconoscono alcun tipo di validità all’arte: che si tratti di quadri, di sculture, o di opere architettoniche, solitamente siamo tutti più o meno concordi nel convenire che l’arte renda la nostra vita migliore, ci ispiri a pensieri e riflessioni profonde, e in ogni sua forma sia meritevole di considerazione e di contemplazione.

Ma dove non tutti siamo d’accordo, e il sospetto entra in gioco, è davanti all’arte moderna – dove, non riconoscendo più nè un’abilità pratica nè una rassomiglianza al vero, manchiamo degli strumenti per conferire un valore accessibile a quadri che sappiamo essere venduti per cifre da capogiro. Siamo tutti, o quasi tutti, capaci di rimanere meravigliati ed ammirati di fronte alla energia degli affreschi di Michelangelo, alla eccellenza dei corpi scolpiti dagli antichi Greci, o alla imponenza della Cattedrale di Notre-Dame; ma quando abbiamo davanti ai nostri occhi un quadro che, in tutta ingenuità, siamo convinti si possa creare in pochi secondi giocherellando con colori e pennello, e dal quale non ci viene trasmesso alcun tipo di impressione, cosa dobbiamo finire col dedurre? Sarà vera arte? Domandiamocelo dinanzi a tre di queste opere…

Jackson Pollock e l’Action Painting

Una sessantina d’anni fa, per essere più precisi nel 1949, Jackson Pollock fu incoronato il più grande pittore di tutta l’America. Tre anni dipoi, nel 1952, l’intero taglio che caratterizza il suo lavoro fu definito come “action painting”, e le sue opere non vennero qualificate più come “dipinti”, ma in qualità di veri e propri “eventi”. Osservando però un qualsiasi quadro di Pollock, e anche ammettendo tutta la propria assenza di preparazione sull’argomento, può rivelarsi obiettivamente arduo trovare l’ispirazione, il messaggio, e tutto ciò che di regola definiamo come tipico dell’arte in quelli che appaiono come meri schizzi di colore su una tela. E la impressione non cambia, anzi peggiora, quando si scopre come le sue opere siano state valutate in centinaia di milioni di dollari.

Kazimir Malevich e “Quadrato Nero”

È ben vero, e ne siamo consapevoli anche con una breve introspezione, che la nostra formazione artistica è nella maggior parte dei casi incompleta, e che siamo spesso troppo legati alla somiglianza al reale quando cerchiamo di valutare un’opera d’arte: la riteniamo “ben fatta” se riproduce il vero in maniera realistica, o se lo interpreta in modo sì audace, ma riconoscibile. Ma anche una volta fatto nostro questo fondamentale pensiero, rintracciare un valore artistico – e particolarmente uno in grado di avanzare di pari passo con quello economico – in un’opera come “Quadrato Nero” di Malevich, o in generale in tutte le opere della corrente cui apparteneva, il suprematismo, è obiettivamente difficoltoso. Quali sono i messaggi e i valori trasmessi da un quadrato nero su tela bianca? Quel che è certo sono le somme di denaro spese per possederla: sessanta milioni di dollari.

Barnet Newman e “Onement I”

Erano gli anni Quaranta quando Barnet Newman dipinse l’opera, appunto “Onement I”, che avrebbe dipoi identificato con sicurezza come il punto di svolta determinante e fondamentale della propria opera, la sua vera rivoluzione artistica. Si tratta di un quadro rettangolare, più alto che largo, dove una linea gialla, irregolare nei contorni, taglia perpendicolarmente uno sfondo dipinto di marrone in modo omogeneo. Newman chiamava quella linea “ZIP”, ed era proprio in quella ripartizione spaziale in due campi dei suoi quadri che vedeva la massiccia rivoluzione cui accennavamo. Mentre riflettiamo sul valore che può avere per un artista giudicare una riga gialla come la sua più grande opera, constatiamo che il quadro viene valutato intorno ai cinque milioni di dollari.

Di Massimo Rossani

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