Se l’artista copia: viaggio fra i falsi d’autore

DiMassimo Rossani

Ott 2, 2012

Tutti noi, nel cammino della nostra istruzione, studiamo come minimo per qualche anno (e magari non tutti proprio con pieno e frenetico impegno) qualche nozione di Arte e di Storia dell’Arte, che anche se insegnateci a livello meramente scolastico vanno a far parte delle basi su cui costruiamo il nostro modo di percepire, e di gustare, l’arte stessa. Ma quando veniamo messi di fronte ad una realtà come quella dei falsi d’autore, è molto inconsueto che la nostra prima risposta non sia, se non sdegnata, quantomeno perplessa; se c’è infatti un principio che ci viene insegnato in modo pressochè universale, quale che sia stata la nostra educazione, è che l’arte è resa preziosa e notevole dalla sua particolarità, e che quindi poche cose sono contrarie all’idea stessa di “arte” quanto la copia. È in effetti il modo di esaminare che la critica più sposa, ai nostri tempi: ma non dobbiamo affatto pensare che sia sempre stato così. Al contrario, la storia ci può riservare, a questo proposito, molte sorprese inaspettate, sia dal punto di vista dei concetti di cosa sia l’arte realmente, sia quando andiamo a scoprire cosa pensassero, nella pratica, dei falsi d’autore gli artisti celebri che siamo abituati ad amare e stimare.

Tutti oggi infatti, come dicevamo poc’anzi, che si tratti del pubblico medio, degli operatori del mercato, o soprattutto dei critici, sono concordi nel reputare che l’arte sia caratterizzata dalla singolarità, sia dell’opera che della persona che la realizza, e che sia appunto l’identità dell’artista, il suo “nome” se vogliamo, a dare valore all’opera stessa, sia che si tratti di un dipinto, che di una scultura. Tuttavia, non sempre le cose sono state così: per moltissimi secoli, Artista e Artigiano non sono stati sostantivi tanto differenti, e i due concetti sono stati, se non coincidenti, quantomeno ampiamente sovrapposti, e si è applicato al valore dell’opera il metro della perizia esecutiva, e non dell’unicità o dell’originalità. E in quest’ottica, la copia, da grave fallo e antitesi dell’arte, diventa semplicemente omaggio, e anche necessaria tappa di comprensione da parte di un giovane artista per acquisire competenza e abilità. Non ci credete? Leggete cosa ne pensava qualche nome di sicuro celebre…

Michelangelo, per molti l’artista per antonomasia, crebbe artisticamente, da adolescente, alla corte di Lorenzo il Magnifico, copiando le statue classiche e le opere di Masaccio che la adornavano; una volta cresciuto, è addirittura di dominio pubblico che scolpì, per un compratore appassionato di statue antiche, un Cupido che poi trattò con terre acide, vendendoglielo con successo come antichissimo;

Peter Paul Rubens, insigne artista di origine fiamminga, nutriva così vasta stima per i pittori Rinascimentali da dedicare buona parte del proprio tempo, anziché a dipinti propri, a copie delle loro opere. Ancor oggi possiamo vedere la celebre “Battaglia di Anghileri” di Leonardo solamente grazie alle copie fatte da Rubens, in quanto l’originale Leonardesco è andato perduto definitivamente.

Tiziano Vecellio, famoso pittore veneziano passato alla storia per l’uso dei colori come Michelangelo lo era per l’abilità nel disegno, fu autore di una copia di una celebre produzione di Raffaello, il “Ritratto di Giulio II”, ancor oggi esposta a Palazzo Pitti, a Firenze.

Di Massimo Rossani

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